Accade spesso che in assemblea si deliberi, a maggioranza, di vietare, per le proprietà esclusive, specifiche destinazioni (ad esempio: ufficio, laboratorio medico ecc.). Il che, in genere, solleva aspre discussioni tra chi è favorevole ad una decisione di questo tipo e chi, invece, da tale scelta si senta leso.
Sulla questione è intervenuta la giurisprudenza secondo cui il divieto, a carico di un condòmino, di dare una determinata destinazione al proprio immobile, traducendosi in una limitazione delle facoltà inerenti al diritto dominicale, non può derivare da una delibera assembleare adottata a maggioranza (che pertanto è nulla), ma presuppone il consenso unanime dei partecipanti alla comunione. E questo indipendente dalla natura contrattuale o assembleare del regolamento di condominio su cui tale delibera vada ad incidere (in tal senso, cfr., ex multis, Cass. sent. n. 12173 dell’14.11.’91 e Cass. sent. n. 5626 del 18.4.’02).
Dunque, solo con il consenso della totalità della compagine condominiale è possibile introdurre legittimamente il divieto di cui trattasi; in difetto, la delibera sarà nulla e, come tale, impugnabile in ogni tempo.
EDIFICI DI INTERESSE STORICO: BENEFICI FISCALI CUMULABILI
Con la recente ordinanza n. 6266 del 2 marzo 2023, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio già precedentemente affermato, secondo cui, in materia di Imu, è possibile cumulare la riduzione del 50% della base imponibile prevista per gli immobili vincolati con quella (sempre del 50) prevista dall’art. 1, comma 747, lett. b), l. 27 dicembre 2019, n. 160 per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati.
Alla base di tale principio vi è la constatazione per cui le due agevolazioni rispondono a finalità differenti, che possono concorrere anche con riguardo al medesimo immobile: con la riduzione per l’Imu sugli immobili di interesse storico ed artistico il legislatore cerca di sgravare i proprietari di questi dagli ingenti costi di ristrutturazione a cui sono soggetti; viceversa, con quella concernente i fabbricati inagibili o inabitabili intende venire incontro ai proprietari che, per cause ad essi non imputabili, non possono utilizzarli, e per il periodo dell’anno nel quale tale impossibilità sussiste.
Concorrendo i presupposti applicativi di entrambe le riduzioni, dunque, secondo la Cassazione la base imponibile rilevante ai fini Imu potrà essere ridotta nella misura pari al 25% di quella ordinaria.
PROPOSTA DI DIRETTIVA DEL CONSIGLIO PER QUANTO RIGUARDA LE NORME IVA PER L’ERA DIGITALE
La proposta della Commissione con la quale si intende disciplinare l’Iva nell’era digitale mira a semplificare le norme fiscali, a combattere la frode fiscale e avvantaggiare le imprese.
Tale iniziativa appare condivisibile in relazione al fatto che la rendicontazione digitale in tempo reale ai fini dell’Iva, attraverso la fatturazione elettronica, aiuterà gli Stati membri a intensificare la lotta contro le frodi Iva e, inoltre, che un’unica registrazione Iva a livello Ue, semplificherà gli obblighi Iva per le imprese che vendono a consumatori di un altro Stato membro.
Desta viceversa grande preoccupazione e, di conseguenza, la contrarietà delle organizzazioni della proprietà aderenti all’Uipi, nei riguardi del regime dei cosiddetti “presunti fornitori”, in particolare per quanto riguarda la locazione a breve termine di alloggi (STR) svolta tramite piattaforme online.
Il regime indicato nella proposta di direttiva sembra essere rivolto principalmente ad alcune grandi piattaforme, che fanno capo a gruppi multinazionali, ma in realtà avrà un impatto devastante sui singoli proprietari di immobili che svolgono l’attività di locazione di alloggi.
In base al regime indicato nella proposta (nuovo articolo 28 bis), qualsiasi alloggio prenotato tramite piattaforme online, fornito da una persona non soggetta a Iva, sarà assoggettato all’imposta.
Tale disposizione, si legge nella relazione della direttiva, viene proposta quale misura di equità e per creare parità di trattamento tra le locazioni di alloggi a breve termine e gli hotel e viene motivata attraverso la (fallace) considerazione – codificata con il nuovo paragrafo 3 dell’articolo 135 – secondo la quale la locazione di alloggi a breve termine avrebbe “una funzione analoga a quella del settore alberghiero”.
Appare altresì inaccettabile che, utilizzando l’artificio semantico del “fornitore presunto”, venga manipolata la realtà portando a considerare imprenditore, senza alcun criterio logico, colui che occasionalmente loca un’unità immobiliare per un breve periodo. Assoggettando in questo modo al regime Iva la locazione breve, senza alcun servizio accessorio, svolta da privati e non da imprenditori.
Risulta altresì insensato equiparare a un servizio di ricezione alberghiera colui che, senza essere organizzato in forma di impresa, lochi occasionalmente per brevi periodi.
Le locazioni di alloggi a breve termine sono effettuate da soggetti privi di un’organizzazione in forma di impresa e che non prestano servizi accessori alla mera locazione dell’immobile.
Il più delle volte, peraltro, tali soggetti attraggono il turismo in borghi sperduti, località remote o lontane da qualsiasi percorso turistico ordinario, in luoghi sprovvisti dei servizi di accoglienza ordinari, rivitalizzandoli socialmente ed economicamente.
Le locazioni brevi sono rivolte alle famiglie (con bambini e animali domestici), appartenenti a fasce economiche medio basse, che utilizzano tali servizi per usufruire, a costi contenuti, di un breve periodo di vacanza, che altrimenti non potrebbero avere.
L’assoggettamento all’Iva delle offerte di locazione breve, svolta da soggetti che locano occasionalmente la propria o la seconda casa, per brevi periodi, renderebbe gli alloggi interessati meno accessibili rispetto agli hotel, con un ulteriore indebito vantaggio per questi ultimi che, in Italia, sono assoggettati ad un’aliquota Iva ridotta.
Tale previsione comprometterebbe la possibilità per i locatori di integrare il loro reddito, utile per sopperire all’aumento del costo della vita, per sostenere le spese relative alle utenze elettriche e all’erogazione del gas, oltre che per fare fronte alle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili.
La sottoposizione all’Iva delle locazioni di alloggi a breve termine pubblicizzate attraverso le piattaforme imporrebbe altresì una tassa aggiuntiva sul turismo, rendendo i viaggi nell’Ue più costosi.
L’impatto dell’imposizione dell’Iva alle locazioni brevi svolte attraverso l’utilizzo di piattaforme informatiche avrebbe un impatto significativo sui prezzi del soggiorno e, inoltre, influenzerebbe le decisioni di coloro che prestano maggiore attenzione al budget. Ciò porterebbe probabilmente a una riduzione del periodo di soggiorno e a una contrazione delle altre spese, con un possibile impatto negativo, nel lungo periodo, sull’economia turistica dell’Ue e sul PIL.
Il rapporto “The Impact of Taxes on the Competitiveness of European Tourism”, redatto dalla PwC per la Commissione europea, ha evidenziato che la domanda turistica è molto sensibile alle variazioni dei prezzi. Ad esempio, lo studio Peng et al (2015) ha evidenziato che l’elasticità media dei prezzi della domanda turistica in Europa è -1,291 per il turismo in entrata, il che suggerisce che un aumento dell’1% del prezzo del soggiorno o delle spese connesse al viaggio porterebbe, in media, a un calo dell’1,291% della domanda turistica in Europa. Qualsiasi aumento delle tasse sul turismo, si legge inoltre nello studio, sarà trasferito ai consumatori, con un impatto negativo sproporzionato sui flussi turistici e, di conseguenza, sull’economia in generale.