Ogni giorno 27 negozi chiudono le serrande (per sempre): la soluzione alla desertificazione commerciale si chiama “cedolare secca”
I dati dell’analisi di Confcommercio sulla situazione dei negozi al dettaglio mostrano la necessità di introdurre, accanto al consolidato sigillo di qualità del Made in Italy, anche il Sold in Italy, cioè: “venduto in Italia”. Sì, perché ogni giorno nel nostro Paese 27 negozi chiudono le saracinesche per non alzarle mai più. Precisamente dal 2012 sono spariti dalle strade 111.512 esercizi commerciali al dettaglio. Dieci anni fa se ne contavano il 20% in più, ovvero 551.317. Le ragioni della morìa dei “negozi sotto casa” le conosciamo più o meno tutti, difficoltà a risollevarsi dopo la botta della pandemia, calo dei consumi, boom del commercio online e aumento dei costi dell’energia. Quello che invece non tutti sanno è che a gravare su chi gestisce una piccola attività c’è anche il ritardo della politica nel mettere a terra soluzioni stabili per contrastare il fenomeno della desertificazione commerciale iniziata prima del lockdown.
Nel 2011, durante la crisi del debito sovrano, chiudevano 62.447 punti vendita al dettaglio (dati di Confcommercio) e le associazioni di categoria chiedevano al Governo e ai sindaci misure per continuare a esistere, che sono le stesse che chiedono oggi. Prima tra tutte l’introduzione della cedolare secca per gli affitti commerciali. È incredibile ma è cosi: da tempo i commercianti hanno chiesto l’introduzione della tassa piatta al 21% (come per gli affitti a scopo abitativo) per liberarsi dalla minaccia della chiusura e continuano a farlo ancora oggi. Da parte di alcuni commercianti, inoltre, si invoca il superamento delle attuali regole contrattuali che sono disciplinate da una legge del 1978, la cosiddetta legge sull’equo canone. Una misura fatta per un mondo cittadino e un mondo d’impresa completamente diversi da quello di oggi.
Tuttavia questa misura, che accorpa in un solo tributo le tasse derivanti dal reddito dell’immobile e l’Irpef ed è caratterizzata da un’unica aliquota fiscale per tutti i contribuenti, fa fatica a essere benvoluta perché non si inquadrano i benefici che andrebbero tutti a favore del tessuto economico delle città, quello più autentico composto dai negozi di quartiere, e dei cittadini. Infatti la cedolare secca favorirebbe la nascita di nuove attività. Nuovi negozi per i Comuni significano molteplici vantaggi: perché così si ripopolano i quartieri a rischio desertificazione commerciale, si vivacizza l’economia locale e, al contempo, si aumenta la sicurezza dei cittadini.
Le proposte della Confedilizia
Il ritardo della politica a introdurre questa misura e a renderla stabile e non momentanea (come è successo nel 2019) appare quindi sempre più ingiustificato. L’attuale Governo ha saputo reagire e nella legge delega per la riforma fiscale è tornata la previsione della cedolare secca per le locazioni commerciali, tuttavia non è ancora stata attuata e, molto probabilmente, riguarderà solo le nuove locazioni. Confedilizia è intervenuta più volte nel dibattito con diverse proposte capaci di vivacizzare l’economia locale e, al contempo, aumentare la sicurezza dei cittadini. Il fenomeno della desertificazione commerciale infatti riguarda da vicino l’associazione che tutela la proprietà immobiliare perché la proprietà diffusa rappresenta un elemento centrale dell’ecosistema del commercio e dell’artigianato. Sono infatti i piccoli risparmiatori che, investendo i loro risparmi nell’acquisto di locali commerciali da dare in locazione, contribuiscono in maniera fondamentale alla vitalità dell’intero settore.
La Confedilizia, per avviare l’introduzione della misura e venire incontro alle esigenze finanziarie dell’erario, suggerisce di limitare inizialmente la cedolare solo ad alcune casistiche: – quando l’immobile è stato sottoposto ad interventi di riqualificazione energetica, – nei casi in cui il contratto è stipulato da un conduttore under 36, – quando l’immobile ha una superfice inferiore ai 200 mq – nei casi in cui il locale commerciale sia situato in zone specifiche del territorio comunale come quelle che rivestono carattere storico e dove bisogna intervenire con più strumenti possibili per limitare la scomparsa di esercizi commerciali; – qualora si avvii nel locale affittato una start up innovativa. Osservatori privilegiati sono naturalmente gli stessi commercianti e alcune associazioni di categoria che, oltre condividere le proposte avanzate dalla Confedilizia, propongono anche altri strumenti. Per esempio un sostegno al passaggio generazionale nei negozi dove si porta avanti il “saper fare artigiano” e l’inserimento di botteghe e negozi storici (del comparto del Made in Italy) nell’albo delle imprese culturali e creative. È il caso di Federazione Moda Italia che, come Confedilizia, chiede prima di tutto l’entrata in vigore della misura cardine del rilancio dell’economia di prossimità: l’estensione della cedolare secca alle locazioni commerciali.
Appalto e clausola di esonero da responsabilità
“La clausola contrattuale di esonero preventivo totale da responsabilità dell’appaltatore per gli eventuali vizi dell’opera realizzanda – clausola diversa da quella di deroga pattizia in senso restrittivo a tutela dell’appaltatore che consiste in una modifica convenzionale di alcuni aspetti di attuazione della garanzia speciale prevista dalle disposizioni di cui agli artt. 1667, 1668 – è valida – così come la clausola di limitazione della responsabilità – ove riferita alla garanzia prevista dall’art. 1667 cod. civ. nei limiti in cui l’esonero (o la limitazione) riguardi vizi o difformità dipendenti da colpa lieve, non da colpa grave né da dolo, ed è invalida – al pari di quella di limitazione della responsabilità – ove riferita alla garanzia di cui all’art. 1669 cod. civ.”. Così la Cassazione con sentenza n. 3656 del 9.2.2024.
Responsabilità del mediatore
“In tema di responsabilità del mediatore, solo la mancata informazione del promissario acquirente sull’esistenza di una irregolarità urbanistica non ancora sanata relativa all’immobile oggetto della promessa di vendita, della quale il mediatore stesso doveva e poteva essere edotto, in quanto agevolmente desumibile dal riscontro tra la descrizione dell’immobile contenuta nell’atto di provenienza e lo stato effettivo dei luoghi, legittima il rifiuto del medesimo promissario di corrispondere la provvigione (…) ovvero legittima, in alternativa, la richiesta di risarcimento dei danni”. Così la Cassazione con ordinanza n. 20132 del 22.6.2022.
Locazione: carattere abusivo dell’immobile o mancanza di autorizzazioni per il suo utilizzo
“Nella locazione di immobili per uso diverso da quello abitativo, il carattere abusivo dell’immobile o la mancanza di titoli autorizzativi necessari o indispensabili ai fini dell’utilizzo della res (secondo la sua intrinseca destinazione economica o conformemente all’uso convenuto), dipendenti dalla situazione edilizia del bene, non incidono sulla validità del negozio, né costituiscono vizi della cosa locata agli effetti dell’art. 1578 cod. civ., ma possono configurare un inadempimento del locatore alle proprie obbligazioni, astrattamente idoneo a incidere un interesse del conduttore, al quale ultimo spetta l’onere di allegare e provare il concreto pregiudizio sofferto in conseguenza dell’abusività del cespite, senza che possa prospettarsi in tale caratteristica un danno in re ipsa”. Tutto questo, peraltro, “solo nel caso in cui il locatore abbia assunto l’impegno di conseguire detti titoli, ovvero se il loro ottenimento sia reso definitivamente impossibile in ragione delle caratteristiche intrinseche del bene concesso in godimento”. Così la Cassazione con ordinanza n. 4564 dell’11.2.2022.