Le case italiane hanno ridotto le emissioni più della media europea, anche senza alcuna direttiva

Data-driven”, ovvero farsi guidare dai dati, dai numeri. In questo modo, secondo i proclami di politici e istituzioni, dovrebbero essere le decisioni prese da chi ha responsabilità di governo, a maggior ragione se hanno un forte impatto sulla vita quotidiana dei cittadini.

Eppure questo principio non sembra essere stato molto seguito durante i lunghi mesi di trattative che hanno portato all’approvazione della direttiva “case green: se leggiamo i suoi obiettivi, infatti, questa ha mantenuto, nonostante le molteplici modifiche apportate al testo iniziale, un’impostazione più ideologica che basata sui fatti.

Fatti che, invece, parlano chiaro: secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) tra il 2011 e il 2021, ultimo anno di cui sono disponibili le statistiche, le emissioni di CO2 degli edifici residenziali italiani sono diminuite del 18,7%, ovvero da 51,2 a 41,7 milioni di tonnellate equivalenti, mentre nella Ue nel suo complesso questo calo è stato solo del 10,2%. Si tratta delle emissioni prodotte dal riscaldamento, dal raffreddamento con l’aria condizionata, dall’uso dell’acqua calda o dei fornelli.

Effettuando, invece, un confronto ventennale emerge come la riduzione delle emissioni nel nostro Paese e nell’Unione europea sia stata simile, rispettivamente del 26,5% e del 26,2%, segno che l’Italia ha accelerato maggiormente negli anni più recenti ed è stata più virtuosa di moltissimi altri Paesi.

Il confronto con Francia, Germania e i maggiori Paesi europei

Per esempio più virtuosa della Francia, dove le emissioni di anidride carbonica da parte delle abitazioni, in quei dieci anni, è scesa meno, del 17,6%, e molto più della Germania, dove la riduzione è stata appena del 3,6%, mentre in Spagna del 6,5% e nei Paesi Bassi del 4,5%. Eppure sono le case italiane quelle che, dati alla mano, subirebbero un impatto maggiore dagli interventi necessari a rispettare gli obiettivi della direttiva, se divenissero obbligatori. Se, infatti, per la commissaria europea all’Energia Kadri Simson sarebbero necessari a questo scopo in tutta l’Ue 275 miliardi all’anno (quindi 1.925 miliardi tra il 2024 e il 2030), esperti italiani, usando come riferimento i costi del superbonus, calcolano che da qui al 2030 nella sola Italia ne servirebbero 600. Da un’analisi della Deloitte emerge che per riqualificare il patrimonio immobiliare nazionale, per attuare la direttiva, servirebbero investimenti tra gli 800 e i 1.000 miliardi di euro. Una singolare punizione per un Paese in cui le emissioni dovute agli edifici residenziali rappresentano solo il 13,5% di quelle totali. Emissioni totali che, tra l’altro, sono in veloce discesa, del 19,4% tra 2011 e 2021, e del 32,1% rispetto al picco del 2005.

Le case italiane sono più efficienti di quelle tedesche

A proposito di dati e di numeri; c’è un altro indicatore che dovrebbe farci riflettere, è quello dell’efficienza energetica delle abitazioni che misura l’energia consumata in Giga Joule per metro quadro. Nel caso dell’Italia parliamo di 0,38 GJ al mq (dati sempre del 2021), in netta discesa rispetto al picco di 0,49 del 2008 mentre, per esempio, in Germania sono 0,57, come in Francia, e nel Regno Unito si sale a 0,6. Nei Paesi Bassi vengono consumati 0,47 GJ per mq mentre in Svezia si arriva a 0,61. Conta qui il fatto che le nostre abitazioni sono mediamente più piccole e tendono a prevalere le abitazioni in condominio rispetto alle villette.

È giusto poi sottolineare come il miglioramento dell’efficienza energetica delle case in Italia sia stato più pronunciato di quello, per esempio, del settore dei trasporti che nel 2021 ha visto un record: si è arrivati ad un consumo di 1,26 Mega Joule per passeggero per chilometro, un livello mai toccato negli ultimi 20 anni. La discesa del consumo di energia nell’ambito degli edifici, del 22,4% rispetto al picco del 2008, è stata maggiore anche di quello del comparto dei servizi (in questo caso misurato in relazione al Pil generato), diminuito, sempre rispetto al 2008, invece del 12,8%.

Cosa indicano tutti questi numeri? Che c’è una sproporzione assoluta e inaccettabile tra il sacrificio che verrebbe richiesto ai cittadini, se il governo volesse perseguire gli obiettivi della direttiva, e la situazione reale, illustrata dai dati, che non è di emergenza, anzi. Le abitazioni degli italiani hanno già intrapreso un percorso di efficienza e si collocano all’interno di un sistema paese, quello italiano, che a sua volta è più virtuoso di quello di molti dei nostri vicini. Non è un caso che l’esecutivo abbia votato contro la direttiva “case green” al Consiglio europeo. Ed è ragionevole supporre che, in un prossimo futuro, possa attivarsi per eliminare un provvedimento così penalizzante per gli italiani.

Locazioni brevi e cedolare al 26%: le indicazioni delle Entrate

Con la circolare n. 10 del 10.5.2024, l’Agenzia delle entrate ha fornito indicazioni in merito alle novità introdotte sulle locazioni brevi dalla legge di bilancio 2024 che – modificando l’art. 4 del d.l. n. 50 del 2017 – ha innalzato l’aliquota della cedolare secca dal 21% al 26% a partire dal secondo immobile dato in locazione con contratti di durata non superiore a 30 giorni (cfr. Focus Confedilizia n. 2 del 19.1.2024).

Il proprietario che mette in locazione breve diverse unità immobiliari (in un numero non superiore a 4, in quanto dalla quinta unità destinata alla locazione breve scatta la presunzione di imprenditorialità ai sensi dell’art. 1, comma 595, della l. n. 178 del 2020) ha comunque la possibilità di sceglierne una per ciascun periodo d’imposta per cui fruire dell’aliquota ridotta del 21%. Tale scelta andrà operata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta d’interesse. Con riguardo all’entrata in vigore del nuovo comma 2 dell’art. 4, del d.l. n. 50 del 2017, ritiene l’Agenzia delle entrate “che, in assenza di una diversa previsione, la disposizione trovi applicazione a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio 2024 e, quindi, dal 1° gennaio 2024”.

“In altri termini – chiariscono le Entrate – l’imposta sostitutiva nella misura del 26 per cento si ritiene dovuta relativamente ai redditi derivanti dai contratti di locazione breve maturati pro-rata temporis in base all’articolo 26 del TUIR, a partire dal 1° gennaio 2024, indipendentemente dalla data di stipula dei predetti contratti e dalla percezione dei canoni, fatta salva, ovviamente, la facoltà di usufruire dell’aliquota ridotta del 21 per cento per i redditi derivanti dai contratti di locazione breve relativi a una unità immobiliare specificamente individuata dal contribuente in sede di dichiarazione dei redditi”.

Tra le varie questioni trattate, l’Agenzia ha pure chiarito che gli intermediari immobiliari e i gestori di portali telematici di locazioni, se incassano o intervengono nel pagamento del canone di locazione o dei corrispettivi lordi, all’atto del pagamento al locatore, devono sempre operare, in qualità di sostituti d’imposta, una ritenuta del 21% a titolo d’acconto indipendentemente dal regime fiscale adottato dal beneficiario. Dal canto suo, il locatore dovrà determinare l’imposta (ordinaria o sostitutiva) dovuta, scomputare le ritenute d’acconto e corrispondere l’eventuale saldo entro il termine per il versamento delle imposte sui redditi.

Locazione commerciale: vale il patto di successiva modifica del canone? 

In considerazione della vigenza del principio generale di libera determinazione del canone locativo per gli immobili ad uso commerciale, è legittimo il patto con il quale le parti stabiliscono di provvedere consensualmente, nel corso del rapporto, a determinare una misura del canone diversa da quella originariamente determinata (cfr. in punto anche Corte appello Roma, sez. VIII, 03/10/2023 n. 5981). 

Supercondominio: come si calcolano i quorum assembleari? 

Alle assemblee del supercondominio partecipano tutti i condòmini o i loro rappresentanti nella fattispecie prevista. Le maggioranze necessarie per la costituzione del collegio e per la validità delle deliberazioni si calcolano in relazione al numero degli aventi diritto ed al valore dell’intero complesso di unità immobiliari, edifici o condominii aventi quella o quelle parti comuni in discussione, avendo riguardo sotto il profilo dell’elemento personale al numero dei contitolari (da convocare personalmente o tramite il rappresentante designato) e sotto il profilo reale al valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare (ove si tratti di assemblea dei proprietari) o al valore proporzionale di ciascun condominio (ove si tratti di assemblea dei rappresentanti).

I valori proporzionali di ciascuna unità immobiliare e di ciascun condominio devono essere espressi in millesimi recepiti in apposita tabella, da approvare dall’assemblea dei condòmini con la maggioranza qualificata prevista dall’art. 1136, comma 2, c.c. (la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell’edificio) non essendo comunque configurabile una formazione della tabella millesimale per “facta concludentia”.